cucina,ricette La Cucina Economica: Cioccolato? Finalmente è arrivato!

giovedì 19 dicembre 2013

Cioccolato? Finalmente è arrivato!



Cioccolato? Finalmente è arrivato! Pare che il genio che capì l'importanza del cacao e lo importò, tra mille disagi, dall'America centrale fu, alla fine del cinquecento, un fiorentino, un tal Carletti, mercante e scrittore.


Scrive Carletti: «Il suo (del cacao) principale consumo è una bevanda che gli indiani chiamano cioccolata, la quale si fa mescolando dette frutte, che sono grosse come ghiande, con acqua calda e zucchero. Ma prima abbrostolite sul fuoco molto bene si disfano sopra certe pietre e così si vede ridurre in una pasta...» ...ma il cacao è anche una droga, e al Carletti «quasi parea di non poter stare giorno senza pigliarne»

Tant'è che in Italia non venne bene accolto dalla Chiesa, fu al centro di diatribe fin da subito, quando si discuteva se la cioccolata fosse o no lecita in tempo di digiuno, una questione annosa che la Sacra Penitenzieria infine risolse con una pronuncia ufficiale, «Non si debbono inquietare coloro che al mattino prendono una piccola quantità (due once) di cioccolato con un frustolo di pane». La cioccolata, del resto, era già stata assolta nel Nuovo Mondo dove il reverendo padre Escobar, dalle regole accomodanti, dichiarò  formalmente che il cioccolato sciolto nell'acqua non rompeva il digiuno, rispolverando l'antico adagio: liquidum non frangit jejunum. Forse per queste dichiarazioni di innocenza fu proprio ai monasteri e ai cuochi del clero che abbiamo potuto attribuire il merito di aver fatto progredire l'arte del cioccolato.


Il cioccolato, che all'epoca era ancora cioccolata, era cosa riservata alle élite. Cagliostro lo considerava una fonte di giovinezza, veniva infatti,  nel secolo dei lumi, prescritto come nutrimento e corroborante nella cura della tubercolosi e consigliato ai depressi e ai malati ossessivi. Jean-Anthelme Brillat-Savarin consigliava: «Chiunque, essendo intelligente, si sente momentaneamente svanito; chiunque sia tormentato da una fissazione che lo priva della libertà di pensare, tutti costoro si prendano un mezzo litro di cioccolata ambrata mettendovi da 60 a 72 chicchi di ambra ogni mezzo chilo di cioccolato, e vedranno miracoloso ristabilimento». Quindi cioccolato come nutrimento per il fisico e lo spirito assieme. Invece Madame de Sévigné esorta alla massima prudenza, perché, sostiene, «una ragazza, per aver mangiato troppo cioccolato, partorì un figlio di pelle nera che le morì subito». Solo molto più tardi, verso la metà del XIX secolo, incominciò a diffondersi tra la borghesia e le classi popolari.

Nell' Ottocento, le abitudini quotidiane cominciano lentamente a cambiare,  se una volta, «nei giorni festivi gran folla di popolo esce dalla città per ire a sollazzevoli diporti o nei borghi vicini, o fra i vigneti della collina, o per fare baldoria nelle osterie campestri di cui è ben fornito il suburbio», ora il rito del caffè, inteso non come bevanda ma come luogo di ritrovo e di conversazione, si sostituisce, almeno per la classe più abbiente e per la borghesia, alla gita fuori porta. A Torino, capitale del cioccolato, istigatrice e complice di questo cambiamento dei costumi, fu una bevanda a base di cioccolata, il famoso bicerin, a cui nessuno poteva resistere.



Nato dalla reinterpretazione dei caffettieri torinesi di un'antica bevanda che, malgrado il nome, era nata anch'essa a Torino nel XVII secolo, la cosiddetta bavarèisa, lanciata come prima colazione dal caffè Fiorio, di via Po, nel 1704. Se nella bavarèisa gli ingredienti venivano serviti già mescolati e bisognava berla all'istante per evitare che il cacao si depositasse, nel bicerin vengono presentati separatamente e, invece che in una tazza, in bicchieri di vetro, probabilmente per rendere visibili le piacevoli variegature di quei liquidi eterogenei che stanno miscelandosi. A partire dalla metà dell'Ottocento questo miscuglio di cioccolata, latte e caffè diventa la consumazione di prammatica al mattino, svolgendo un ruolo sociale perché consente alle signore per bene, che non potevano assolutamente metter piede in un caffè, di fare uno strappo alla regola. Le botteghe del caffè si trasformano così in salotti, ritrovi per la conversazione delle dame, e perdono la caratteristica di luoghi esclusivi per uomini dove si parla di politica e dove, a Torino, Cavour, in una sala del Fiorio (intitolata a lui come si può ancor oggi leggere su un cartiglio affisso) faceva l'Italia.

Dai caffè più eleganti della città,  il Fiorio e il San Carlo, nascono le varianti: pur e fior, e cioè caffè e latte miscelati; pur e barba, caffe e cioccolato; un po'd tut, i tre diversi ingredienti insieme. Rigorosamente accompagnati, in un bicchierino a parte, dalla stissa, che in piemontese significa goccia, un supplemento di latte o caffè o cioccolata, e da  un biscotto da intingere, compreso nel prezzo.


La cucina economica ha la sua ricetta del  bicerin



per 4 persone

una tazzina di caffè bollente zuccherato, molto forte, 80 g di cioccolato fondente, 250 g di latte, 1/2 cucchiaino di fecola di patate, 2/3 cucchiaini di zucchero, panna montata Spezzettate finemente il cioccolato e fatelo sciogliere nel latte caldo: in seguito aggiungete lo zucchero e la fecola, facendo bollire il tutto per un minuto e sempre mescolando. Mettete il composto in un bicchiere di vetro resistente al calore ed aggiungete il caffè zuccherato, terminando con la panna montata e una spolverata di cacao.

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