Pellegrino Artusi , cappelletti e tortellini in brodo. Una
volta si diceva che la minestra era la biada dell'uomo; oggi i medici
consigliano di mangiarne poca per non dilatare troppo lo stomaco e per lasciare
la prevalenza al nutrimento carneo, il quale rinforza la fibra,
mentre i
farinacei, di cui le minestre ordinariamente si compongono, risolvendosi in
tessuto adiposo, la rilassano. A questa teoria non contraddico: ma se mi fosse
permessa un'osservazione, direi: Poca minestra a chi non trovandosi nella
pienezza delle sue forze, né in perfetta salute, ha bisogno di un trattamento
speciale; poca minestra a coloro che avendo tendenza alla pinguedine ne
vogliono rattener lo sviluppo; poca minestra, e leggiera, ne' pranzi di parata
se i commensali devono far onore alle varie pietanze che le vengono appresso;
ma all'infuori di questi casi una buona e generosa minestra per chi ha uno
scarso desinare sarà sempre la benvenuta, e però fatele festa. Penetrato da
questa ragione mi farò un dovere d'indicare tutte quelle minestre che via via
l'esperienza mi verrà suggerendo.I piselli del n. 427 possono dar sapore e
grazia, come tutti sanno, alle minestre in brodo di riso, pastine e malfattini;
ma si prestano ancora meglio per improvvisare, se manca il brodo, il risotto
del n. 75.
7 CAPPELLETTI ALL'USO DI ROMAGNA
Sono
così chiamati per la loro forma a cappello. Ecco il modo più semplice di farli
onde riescano meno gravi allo stomaco.
Ricotta,
oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi 180.
Mezzo
petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine fine
colla lunetta.
Parmigiano
grattato, grammi 30.
Uova,
uno intero e un rosso.
Odore
di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace.
Un
pizzico di sale.
Assaggiate
il composto per poterlo al caso correggere, perché gl'ingredienti non
corrispondono sempre a un modo. Mancando il petto di cappone, supplite con
grammi 100 di magro di maiale nella lombata, cotto e condizionato nella stessa
maniera.
Se
la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara
d'uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo.
Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova
servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo
della grandezza come quello segnato [figura01]. Ponete il composto in mezzo ai
dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due
estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.
Se
la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell'acqua, gli
orli dei dischi. Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il
brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre
nella solennità di Natale in olocausto agli uomini. Cuocete dunque i
cappelletti nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato
giorno degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c'è il caso però
di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano
due dozzine.
A
proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca
importanza, ma che può dare argomento a riflettere.
Avete
dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su' libri i signori di Romagna
non ne vogliono saper buccicata, forse perché fino dall'infanzia i figli si
avvezzano a vedere i genitori a tutt'altro intenti che a sfogliar libri e
fors'anche perché, essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si
crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei
giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull'imbraca, e avete
un bel tirare per la cavezza ché non si muovono. Fino a questo punto arrivarono
col figlio Carlino, marito e moglie, in un villaggio della bassa Romagna; ma il
padre che la pretendeva a progressista, benché potesse lasciare il figliolo a
sufficienza provvisto avrebbe pur desiderato di farne un avvocato e, chi sa,
fors'anche un deputato, perché da quello a questo è breve il passo. Dopo molti
discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per
mandar Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara
era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col
cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che
lo bagnava di pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori
si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo
silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe:
-
Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto! -
Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all'uscio di
strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo
alla sala.
-
Oh! cavallo di ritorno, esclama il babbo, cos'è stato? - È stato, risponde
Carlino, che il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a
pezzi piuttosto che ritornare in quella galera. - La buona mamma gongolante di
gioia corse ad abbracciare il figliolo e rivolta al marito: - Lascialo fare,
disse, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che
occuparsi co' suoi interessi. - Infatti, d'allora in poi gl'interessi di
Carlino furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un
bel baroccino e continui assalti alle giovani contadine.
8 TORTELLINI ALL'ITALIANA (AGNELLOTTI)
Braciole
di maiale nella lombata, circa grammi 300.
Un
cervello di agnello o mezzo di bestia più grossa.
Midollo
di bue, grammi 50.
Parmigiano
grattato, grammi 50.
Rossi
d'uovo n. 3 e, al bisogno, aggiungete una chiara.
Odore
di noce moscata.
Disossate
e digrassate le braciole di maiale, e poi tiratele a cottura in una casseruola
con burro, sale e una presina di pepe. In mancanza del maiale può servire il
magro del petto di tacchino nella proporzione di grammi 200, cotto nella stessa
maniera. Pestate o tritate finissima la carne con la lunetta; poi unite alla
medesima il cervello lessato e spellato, il midollo crudo e tutti gli altri
ingredienti, mescolandoli bene insieme. Quindi i tortellini si chiudono in una
sfoglia come i cappelletti e si ripiegano nella stessa guisa, se non che questi
si fanno assai più piccoli. Ecco, per norma, il loro disco [figura02].
9 TORTELLINI ALLA BOLOGNESE
Quando
sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, ché se la merita. È
un modo di cucinare un po' grave, se vogliamo, perché il clima così richiede;
ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di
ottanta e novant'anni sono più comuni che altrove. I seguenti tortellini,
benché più semplici e meno dispendiosi degli antecedenti, non sono per bontà
inferiori, e ve ne convincerete alla prova.
Prosciutto
grasso e magro, grammi 30.
Mortadella
di Bologna, grammi 20.
Midollo
di bue, grammi 60.
Parmigiano
grattato, grammi 60.
Uova,
n. 1.
Odore
di noce moscata.
Sale
e pepe, niente.
Tritate
ben fini colla lunetta il prosciutto e la mortadella, tritate egualmente il
midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri ingredienti ed
intridete il tutto coll'uovo mescolando bene. Si chiudono nella sfoglia d'uovo
come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del n. 8. Non patiscono
conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana e se desiderate che
conservino un bel color giallo metteteli, appena fatti, ad asciugare nella
caldana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci vorrà una sfoglia di
tre uova.
Bologna
è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un tale che a
quando a quando colà si recava a banchettare cogli amici. Nell'iperbole di
questa sentenza c'è un fondo di vero, del quale, un filantropo che vagheggiasse
di legare il suo nome a un'opera di beneficenza nuova in Italia, potrebbe
giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna
si presterebbe più di qualunque altra città pei suo grande consumo, per
l'eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli. Nessuno apparentemente vuol dare
importanza al mangiare, e la ragione è facile a comprendersi: ma poi, messa da
parte l'ipocrisia, tutti si lagnano di un desinare cattivo o di una
indigestione per cibi mal preparati. La nutrizione essendo il primo bisogno
della vita, è cosa ragionevole l'occuparsene per soddisfarlo meno peggio che
sia possibile.
Uno
scrittore straniero dice: "La salute, la morale, le gioie della famiglia
si collegano colla cucina, quindi sarebbe ottima cosa che ogni donna, popolana
o signora, conoscesse un'arte che è feconda di benessere, di salute, di
ricchezza e di pace alla famiglia"; e il nostro Lorenzo Stecchetti (Olindo
Guerrini) in una conferenza tenuta all'Esposizione di Torino il 21 giugno 1884
diceva: "È necessario che cessi il pregiudizio che accusa di volgarità la
cucina, poiché non è volgare quel che serve ad una voluttà intelligente ed elegante.
Un produttore di vini che manipola l'uva e qualche volta il campeggio per
cavarne una bevanda grata, è accarezzato, invidiato e fatto commendatore. Un
cuoco che manipola anch'esso la materia prima per ottenerne un cibo piacevole,
nonché onorato e stimato, non è nemmeno ammesso in anticamera. Bacco è figlio
di Giove, Como (il Dio delle mense) di ignoti genitori. Eppure il savio dice:
Dimmi quel che tu mangi e ti dirò chi sei. Eppure i popoli stessi hanno una
indole loro, forte o vile, grande o miserabile, in gran parte dagli alimenti
che usano. Non c'è dunque giustizia distributiva. Bisogna riabilitare la
cucina".
Dico
dunque che il mio Istituto dovrebbe servire per allevare delle giovani cuoche
le quali, naturalmente più economiche degli uomini e di minore dispendio,
troverebbero facile impiego e possederebbero un'arte, che portata nelle case
borghesi, sarebbe un farmaco alle tante arrabbiature che spesso avvengono nelle
famiglie a cagione di un pessimo desinare; e perché ciò non accada sento che
una giudiziosa signora, di una città toscana, ha fatto ingrandire la sua troppo
piccola cucina per aver più agio a divertirsi col mio libro alla mano.
Ho
lasciato cader questa idea così in embrione ed informe; la raccatti altri, la
svolga e ne faccia suo pro qualora creda l'opera meritoria. Io sono d'avviso
che una simile istituzione ben diretta, accettante le ordinazioni dei privati e
vendendo le pietanze già cucinate, si potrebbe impiantare, condurre e far
prosperare con un capitale e con una spesa relativamente piccoli.
Se
vorrete i tortellini anche più gentili aggiungete alla presente ricetta un
mezzo petto di cappone cotto nel burro, un rosso d'uovo e la buona misura di
tutto il resto.
10 TORTELLINI DI CARNE DI PICCIONE
Questi
tortellini merita il conto ve li descriva, perché riescono eccellenti nella
loro semplicità.
Prendete
un piccione giovane e, dato che sia bell'e pelato del peso di mezzo chilogrammo
all'incirca, corredatelo con
Parmigiano
grattato, grammi 80.
Prosciutto
grasso e magro, grammi 70.
Odore
di noce moscata.
Vuotate
il piccione dalle interiora, ché il fegatino e il ventriglio non servono in
questo caso, e lessatelo. Per lessarlo gettatelo nell'acqua quando bolle e
salatela; mezz'ora di bollitura è sufficiente, perché dev'essere poco cotto.
Tolto dal fuoco disossatelo, poi tanto questa carne che il prosciutto tritateli
finissimi prima col coltello indi colla lunetta, e per ultimo, aggiuntovi il
parmigiano e la noce moscata, lavorate il composto con la lama del coltello per
ridurlo tutto omogeneo.
Per
chiuderli servitevi del disco n. 8, e con tre uova di sfoglia ne otterrete 260
circa. Potete servirli in brodo, per minestra, oppure asciutti conditi con
cacio e burro, o meglio con sugo e rigaglie.
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