cucina,ricette La Cucina Economica: La bella storia dell'oca di San Martino

lunedì 11 novembre 2013

La bella storia dell'oca di San Martino



11 Novembre, san Martino, si passava la serata girando per le osterie di Bologna quelle che adesso non ci sono più o sono diventate cose che ci fanno inorridire. Ad ogni stop si beveva il



vino nuovo accompagnato dalle castagne arrosto, e ci si fermava a chiacchierare con gli avventori del momento. Ogni osteria aveva vini diversi, bianchi spumosi, rossi zuccherini. Sembrava di non bere ma nel corso della serata l'allegria cresceva e con questa anche la voglia di andare avanti nella notte, da un posto all'altro. Finchè arrivava il momento di non ritorno, quello che ti obbligava a correre a casa con le sirene, il tipico mal di pancia da castagne e vino nuovo, così la serata finiva.

Le tradizioni cambiano, bastano pochi passi in un'altra direzione e tutto è diverso. Oltrepassando il Po, nelle campagne venete l’11 novembre coincideva con la fine dell’anno lavorativo dei contadini e se il padrone non chiedeva di restare a lavorare anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e cercare un altro padrone e un altro alloggio. Anche nelle città divenne abituale cambiar casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” diventò un modo di dire. Inoltre, il periodo di penitenza e di digiuno che precede il Natale cominciava proprio il 12 novembre e San Martino era quindi una specie di capodanno contadino nel corso del quale si festeggiava con una grande mangiata d’oca e biscotti.

La tradizione di cibarsi dell’oca nel giorno dedicato a S. Martino affonda le proprie origini nei secoli. L’oca costituì per secoli, assieme al maiale, la riserva di grassi e proteine durante l’inverno del povero contadino che si cibava comunemente solo di cereali e di grandi polente. Dagli Egiziani e passando per Omero, l’oca fu sempre tenuta come allegro compagno d’infanzia e come guardiano (le famose oche del tempio della dea Giunone nel Campidoglio).

Le oche erano ingrassate con fichi secchi provenienti dalle regioni meridionali per rendere il fegato bello grasso. I romani chiamavano “iecor” il fegato e “iecor ficatum” quello grasso, da cui deriva l’italiano “fegato”.

I barbari, che saccheggiarono Roma nel 390 a.C. sotto la guida di Brenno, consideravano il palmipede simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche Grande Madre dell’Universo e dei viventi. La zampa dell’oca era usata come “marchio” di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano “Jars”, che in francese vuol dire appunto oche. L’oca fu sempre allevata, anche nel periodo medioevale, nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell’oca furono – attorno al 1400 – alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono, provenienti dall’Europa del nord, nelle regioni settentrionali della penisola e quindi anche nel Veneto. Non potendo consumare carne di maiale per motivi religiosi, i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciutti d’oca. L’oca era, infatti, il cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire dell’Ottocento.

Già di tradizione celtica, l’11 novembre entrò a far parte anche delle feste cristiane proprio grazie a S. Martino e fu da sempre collegato alle oche. La leggenda racconta, infatti, che Martino, nonostante l’elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri.

Ma nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l’oca fu anche mezzo di scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri una parte del dovuto, oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con stivali.

La cucina economica festeggia l’11 novembre con   oca marinata e insalata




Ingredienti per 4 persone

400g di petto d'oca
spicchio di aglio
cucchiai di aceto balsamico
olio extravergine di oliva
pepe bianco
sale
cucchiaio di aceto di mele
foglie di salvia
300g di radicchio canarino
200g di ardielut (valerianella)

Preparazione

Disponete il petto d’oca in una teglia, cospargetelo con un trito di aglio e foglie di salvia, salate e passate in forno a 180 °C per 15 minuti. Sfornatelo, lasciatelo raffreddare completamente, quindi tagliatelo a fettine molto sottili; disponetele in una piccola terrina dove avrete preparato un’emulsione con l’aceto balsamico e 2 cucchiai di olio. Lasciate marinare la carne per 12 ore.

Mondate, lavate e asciugate accuratamente l’ardielut e il radicchio, quindi disponeteli nei piatti individuali. Togliete le fettine di oca dalla marinata, sgocciolatele, tagliatele a listarelle molto sottili e distribuitele sopra l’insalata.

Preparate un’emulsione battendo con una forchetta in una ciotola 1 cucchiaio di olio, l’aceto di mele, una presa di sale e una di pepe; condite l’insalata e le listarelle d’oca con l’emulsione e servite.

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