11 Novembre, san Martino, si passava la serata girando per le osterie di Bologna quelle che adesso non ci sono più o sono diventate cose che ci fanno inorridire. Ad ogni stop si beveva il
vino nuovo accompagnato dalle castagne arrosto, e ci si fermava a chiacchierare con gli avventori del momento. Ogni osteria aveva vini diversi, bianchi spumosi, rossi zuccherini. Sembrava di non bere ma nel corso della serata l'allegria cresceva e con questa anche la voglia di andare avanti nella notte, da un posto all'altro. Finchè arrivava il momento di non ritorno, quello che ti obbligava a correre a casa con le sirene, il tipico mal di pancia da castagne e vino nuovo, così la serata finiva.
Le tradizioni cambiano, bastano pochi passi in un'altra direzione e tutto è diverso. Oltrepassando il Po, nelle campagne venete l’11 novembre coincideva con la fine dell’anno lavorativo dei contadini e se il padrone non chiedeva di restare a lavorare anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e cercare un altro padrone e un altro alloggio. Anche nelle città divenne abituale cambiar casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” diventò un modo di dire. Inoltre, il periodo di penitenza e di digiuno che precede il Natale cominciava proprio il 12 novembre e San Martino era quindi una specie di capodanno contadino nel corso del quale si festeggiava con una grande mangiata d’oca e biscotti.
vino nuovo accompagnato dalle castagne arrosto, e ci si fermava a chiacchierare con gli avventori del momento. Ogni osteria aveva vini diversi, bianchi spumosi, rossi zuccherini. Sembrava di non bere ma nel corso della serata l'allegria cresceva e con questa anche la voglia di andare avanti nella notte, da un posto all'altro. Finchè arrivava il momento di non ritorno, quello che ti obbligava a correre a casa con le sirene, il tipico mal di pancia da castagne e vino nuovo, così la serata finiva.
Le tradizioni cambiano, bastano pochi passi in un'altra direzione e tutto è diverso. Oltrepassando il Po, nelle campagne venete l’11 novembre coincideva con la fine dell’anno lavorativo dei contadini e se il padrone non chiedeva di restare a lavorare anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e cercare un altro padrone e un altro alloggio. Anche nelle città divenne abituale cambiar casa proprio a San Martino, perciò “fare San Martino” diventò un modo di dire. Inoltre, il periodo di penitenza e di digiuno che precede il Natale cominciava proprio il 12 novembre e San Martino era quindi una specie di capodanno contadino nel corso del quale si festeggiava con una grande mangiata d’oca e biscotti.
La
tradizione di cibarsi dell’oca nel giorno dedicato a S. Martino affonda le
proprie origini nei secoli. L’oca costituì per secoli, assieme al maiale, la
riserva di grassi e proteine durante l’inverno del povero contadino che si
cibava comunemente solo di cereali e di grandi polente. Dagli Egiziani e
passando per Omero, l’oca fu sempre tenuta come allegro compagno d’infanzia e
come guardiano (le famose oche del tempio della dea Giunone nel Campidoglio).
Le
oche erano ingrassate con fichi secchi provenienti dalle regioni meridionali
per rendere il fegato bello grasso. I romani chiamavano “iecor” il fegato e
“iecor ficatum” quello grasso, da cui deriva l’italiano “fegato”.
I
barbari, che saccheggiarono Roma nel 390 a.C. sotto la guida di Brenno, consideravano
il palmipede simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche Grande Madre
dell’Universo e dei viventi. La zampa dell’oca era usata come “marchio” di
riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano
“Jars”, che in francese vuol dire appunto oche. L’oca fu sempre allevata, anche
nel periodo medioevale, nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come
ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell’oca furono – attorno al
1400 – alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono,
provenienti dall’Europa del nord, nelle regioni settentrionali della penisola e
quindi anche nel Veneto. Non potendo consumare carne di maiale per motivi
religiosi, i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciutti d’oca.
L’oca era, infatti, il cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire
dell’Ottocento.
Già
di tradizione celtica, l’11 novembre entrò a far parte anche delle feste
cristiane proprio grazie a S. Martino e fu da sempre collegato alle oche. La leggenda
racconta, infatti, che Martino, nonostante l’elezione a furor di popolo a
Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma
furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo e poi Santo per la sua
bontà nei confronti dei poveri.
Ma
nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l’oca fu anche mezzo di
scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri
una parte del dovuto, oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con
stivali.
La
cucina economica festeggia l’11 novembre con
oca marinata e insalata
Ingredienti per 4 persone
400g di
petto d'oca
1 spicchio
di aglio
2 cucchiai
di aceto balsamico
olio
extravergine di oliva
pepe
bianco
sale
1 cucchiaio
di aceto di mele
3 foglie di salvia
300g di
radicchio canarino
200g di
ardielut (valerianella)
Preparazione
Disponete
il petto d’oca in una teglia, cospargetelo con un trito di aglio e foglie di
salvia, salate e passate in forno a 180 °C per 15 minuti. Sfornatelo,
lasciatelo raffreddare completamente, quindi tagliatelo a fettine molto
sottili; disponetele in una piccola terrina dove avrete preparato un’emulsione
con l’aceto balsamico e 2 cucchiai di olio. Lasciate marinare la carne per 12
ore.
Mondate,
lavate e asciugate accuratamente l’ardielut e il radicchio, quindi disponeteli
nei piatti individuali. Togliete le fettine di oca dalla marinata,
sgocciolatele, tagliatele a listarelle molto sottili e distribuitele sopra
l’insalata.
Preparate
un’emulsione battendo con una forchetta in una ciotola 1 cucchiaio di olio,
l’aceto di mele, una presa di sale e una di pepe; condite l’insalata e le
listarelle d’oca con l’emulsione e servite.
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