Pellegrino Artusi, ranocchi e pesci
d'acqua dolce. Che cibo antico la rana, una pietanza di altri
tempi, si andava in bicicletta fino all'argine del fiume, dove c'era una
trattoria, poco più che una pergola di frasche dove una sdozza insegna recitava: 'Cucina - Rane'. Ne arrivavano dei piattoni, fritte, croccanti e saporitissime, accompagnate da un'insalatina di erbette selvatiche, cicorino, ortica, lo scoreggiolo, ed un vinello bianco, leggermente torbido che ti rimandava a casa con un solenne cerchione alla testa. Che posso dire? Mangiare da Re!
trattoria, poco più che una pergola di frasche dove una sdozza insegna recitava: 'Cucina - Rane'. Ne arrivavano dei piattoni, fritte, croccanti e saporitissime, accompagnate da un'insalatina di erbette selvatiche, cicorino, ortica, lo scoreggiolo, ed un vinello bianco, leggermente torbido che ti rimandava a casa con un solenne cerchione alla testa. Che posso dire? Mangiare da Re!
503 RANOCCHI IN UMIDO
Il
modo più semplice è di farli con un soffritto di olio, aglio e prezzemolo, sale
e pepe, e quando sono cotti, agro di limone. Alcuni, invece del limone, usano
il sugo di pomodoro, ma il primo è da preferirsi.
Non
li spogliate mai delle uova che sono il meglio.
504 RANOCCHI ALLA FIORENTINA
Togliete
i ranocchi dall'acqua fresca dove li avrete posti dopo averli tenuti per un
momento appena nell'acqua calda se sono stati uccisi d'allora. Asciugateli bene
fra le pieghe d'un canovaccio e infarinateli. Ponete una teglia al fuoco con
olio buono e quando questo comincia a grillettare buttate giù i ranocchi;
conditeli con sale e pepe rimuovendoli spesso perché si attaccano facilmente.
Quando saranno rosolati da ambedue le parti, versate sui medesimi delle uova
frullate, condite anch'esse con sale e pepe e sugo di limone piacendovi; senza
toccarle, lasciatele assodare a guisa di frittata e mandate la teglia in
tavola.
Ai
ranocchi va sempre tolta la vescichetta del fiele.
Volendoli
fritti, infarinateli e, prima di buttarli in padella, teneteli per qualche ora
in infusione nell'uovo, condito con sale e pepe; oppure, dopo infarinati,
rosolateli appena da ambedue le parti e, presi uno alla volta, immergeteli
nell'uovo condito con pepe, sale e agro di limone, rimettendoli poscia in
padella per finire di cuocerli.
514 CIECHE ALLA PISANA
Vedi
Anguilla n. 490.
Lavatele
diverse volte e quando non faranno più la schiuma, versatele sullo staccio per
scolarle.
Ponete
al fuoco, olio, uno spicchio o due d'aglio interi, ma un po' stiacciati, e
alcune foglie di salvia. Quando l'aglio sarà colorito versate le cieche e, se
sono ancor vive, copritele con un testo onde non saltino via. Conditele con
sale e pepe, rimuovetele spesso col mestolo e bagnatele con un poco d'acqua, se
prosciugassero troppo. Cotte che siano, legatele con uova frullate a parte,
mescolate con parmigiano, pangrattato e limone.
Se
la quantità delle cieche fosse di grammi 300 a 350, la quale basta per quattro
persone, potrete legarle con:
Uova,
n. 2.
Parmigiano,
due cucchiaiate.
Pangrattato,
una cucchiaiata.
Mezzo
limone e un po' d'acqua.
Se
le servite nel vaso ove sono state cotte, ponetele per ultimo fra due fuochi
onde facciano alla superficie la crosticina in bianco.
Il
chiarissimo prof. Renato Fucini (l'ameno Neri Tanfucio) il quale, a quanto
pare, è un grande amatore di cieche alla salvia, si compiace farmi sapere che
sarebbe una profanazione, un sacrilegio, se queste - benché sembrino teneri
pesciolini - si tenessero a cuocere per un tempo minore di una ventina di
minuti almeno.
515 CIECHE FRITTE I
Cuocetele
in umido con olio, aglio intero e salvia, come quelle descritte al numero
precedente; poi, levato l'aglio, tritatele minute. Frullate delle uova in
proporzione, salatele, aggiungete parmigiano, un poco di pangrattato e
mescolateci dentro le cieche per friggerle a cucchiaiate e farne frittelle che
servirete con limone a spicchi, e pochi, mangiandole, si accorgeranno che sia
un piatto di pesce.
516 CIECHE FRITTE II
Ho
visto a Viareggio che le cieche si possono friggere come l'altro pesce; infarinate
soltanto con farina di grano o di granturco e gettate in padella. In questa
maniera le avrete più semplici, ma assai meno buone di quelle descritte al
numero antecedente.
517 TINCHE IN ZIMINO
La
tinca disse al luccio: - Vai più la mia testa che il tuo buccio. - Buccio per
busto, licenza poetica, per far la rima. Poi c'è il proverbio: "Tinca di
maggio e luccio di settembre".
Fate
un battutino con tutti gli odori, e cioè: cipolla, aglio, prezzemolo, sedano e
carota; mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore, versate le
teste delle tinche a pezzettini e conditele con sale e pepe. Fatele cuocer
bene, bagnandole con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, poi
passate il sugo e mettetelo da parte. Nettate le tinche, tagliate loro le pinne
e la coda e così intere, ponetele al fuoco con olio quando comincia a
soffriggere. Conditele con sale e pepe e tiratele a cottura col detto sugo
versato a poco per volta. Potrete mangiarle così che sono eccellenti; ma per
dare al zimino il suo vero carattere ci vuole un contorno d'erbaggi, bietola o
spinaci a cui, dopo lessati, farete prender sapore nell'intinto di questo
umido. I piselli pure vi stanno bene. Anche il baccalà in zimino va cucinato
così.
518 LUCCIO IN UMIDO
Il
luccio è un pesce comune nelle nostre acque dolci che si fa notare per certe
sue particolarità. È molto vorace e siccome si nutre esclusivamente di pesce,
la sua carne riesce assai delicata al gusto; però, essendo fornito di molte
lische, bisogna scegliere sempre individui del peso di 600 a 700 grammi; sono
anche da preferirsi quelli che vivono in acque correnti, i quali si distinguono
per la schiena verdastra e il ventre bianco argentato; mentre quelli delle
acque stagnanti si conoscono dall'oscurità della pelle. Si trovano dei lucci
del peso fino a 10, 15 e anche 30 chilogrammi e di un'età assai elevata;
credesi perfino di oltre 200 anni. Le uova della femmina e gli spermatofori
lattiginosi del maschio non vanno mangiati perché hanno un'azione molto
purgativa.
Ammesso
che abbiate da cucinare un luccio dell'indicato peso all'incirca, raschiategli
le scaglie, vuotatelo, tagliate via la testa e la coda e dividetelo in quattro
o cinque pezzi, che potranno bastare ad altrettante persone. Ogni pezzo
steccatelo per il lungo con due lardelli di lardone conditi con sale e pepe, e
poi fate un battuto proporzionato con cipolla quanto una grossa noce, un
piccolo spicchio d'aglio, una costola di sedano, un pezzetto di carota e un
pizzico di prezzemolo, il tutto tritato fine perché non occorre passarlo.
Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore fermatelo con sugo di
pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, sale e pepe per condimento. Poi
condensate alquanto questo intinto con un pezzetto di burro intriso nella farina,
mescolate bene e collocateci il pesce facendolo bollire adagio e rivoltandolo;
per ultimo versateci una cucchiaiata di marsala o, mancando questa, un gocciolo
di vino, e lasciatelo bollire ancora un poco prima di mandarlo in tavola in
mezzo alla sua salsa.
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