Gualtiero Marchesi
Gualtiero Marchesi
Quella di Gualtiero Marchesi per la cucina è stata una vocazione, ma una vocazione cercata, prima accolta attraverso l’esempio dei genitori che possedevano l’albergo ristorante Al
Mercato, in via Bezzecca, a Milano, e poi messa, continuamente in discussione. La passione per il disegno e per la musica, l’opera in particolare, c’erano già come la fame di letture e, ogni giorno, il lavoro impostato con rigore e sensibilità distingueva quel ristorante da altre cucine quotidiane, spingendo Gualtiero Marchesi a pensare in meglio. Per un ragazzo nato nel 1930, la svolta arriva nel dopoguerra, mischiando la propria energia a quella di un intera nazione. Non è solo il desiderio di conoscere, di muoversi, di fare esperienza, ma soprattutto di misurarsi con il resto del mondo, misurando fino in fondo le capacità personali a partire dagli anni di apprendistato al Kulm di Saint Moritz e alla Scuola alberghiera di Lucerna. Il gusto per la sfida avrebbe permesso a Marchesi di primeggiare in altri campi, lasciando comunque un’impronta di sé. È un fatto di selezione, di cromosomi. A lui riuscivano bene anche correre in bicicletta, tirare di fioretto, giocare a biliardo o ballare. Per il fatto di avere al musica nel sangue e di essersi innamorato di una concertista, troverà naturale prendere lezioni di piano dalla futura moglie. Del resto, solo l’inquietudine dei curiosi può essere così forte di lasciare che si chiudesse il capitolo del ristorante familiare nonostante i suoi successi, condivisi con ospiti come Mario Monicelli, Giovanni Testori, Gianni Agnelli, Luchino Visconti, Federico Fellini, Francesco Monzino per emigrare, a quarant’anni, sposato e padre di due figlie, in Francia. Saranno ancora due anni di studio, decisi proprio nell’anno in cui esplodeva il Sessantotto, andando a bottega da i fratelli Troisgros, al ristorante Ledoyen a Parigi e al Chapeau Rouge di Digione, aprendo gli occhi e la mente alle novità che di lì a poco daranno sostanza e forma alla Nouvelle Cuisine. «Tornai a casa – ricorda Marchesi – solo quando fui sicuro di aver imparto la semplicità». È questo un tema capitale che, prima, con l’apertura del ristorante in via Bonvesin de la Riva, fino ad oggi con il menu futuribile, intitolato – cucina contraddistingue la sua ricerca che dalle vette della tecnica, solo apparentemente minimalista, porta all’evidenza sostanziale della materia. «La forma è materia» – ripete, infatti, spessissimo. Apre il suo primo ristorante milanese nel 1977, conquistando la prima stella Michelin,seguita, l’anno successivo, da una seconda.
Mercato, in via Bezzecca, a Milano, e poi messa, continuamente in discussione. La passione per il disegno e per la musica, l’opera in particolare, c’erano già come la fame di letture e, ogni giorno, il lavoro impostato con rigore e sensibilità distingueva quel ristorante da altre cucine quotidiane, spingendo Gualtiero Marchesi a pensare in meglio. Per un ragazzo nato nel 1930, la svolta arriva nel dopoguerra, mischiando la propria energia a quella di un intera nazione. Non è solo il desiderio di conoscere, di muoversi, di fare esperienza, ma soprattutto di misurarsi con il resto del mondo, misurando fino in fondo le capacità personali a partire dagli anni di apprendistato al Kulm di Saint Moritz e alla Scuola alberghiera di Lucerna. Il gusto per la sfida avrebbe permesso a Marchesi di primeggiare in altri campi, lasciando comunque un’impronta di sé. È un fatto di selezione, di cromosomi. A lui riuscivano bene anche correre in bicicletta, tirare di fioretto, giocare a biliardo o ballare. Per il fatto di avere al musica nel sangue e di essersi innamorato di una concertista, troverà naturale prendere lezioni di piano dalla futura moglie. Del resto, solo l’inquietudine dei curiosi può essere così forte di lasciare che si chiudesse il capitolo del ristorante familiare nonostante i suoi successi, condivisi con ospiti come Mario Monicelli, Giovanni Testori, Gianni Agnelli, Luchino Visconti, Federico Fellini, Francesco Monzino per emigrare, a quarant’anni, sposato e padre di due figlie, in Francia. Saranno ancora due anni di studio, decisi proprio nell’anno in cui esplodeva il Sessantotto, andando a bottega da i fratelli Troisgros, al ristorante Ledoyen a Parigi e al Chapeau Rouge di Digione, aprendo gli occhi e la mente alle novità che di lì a poco daranno sostanza e forma alla Nouvelle Cuisine. «Tornai a casa – ricorda Marchesi – solo quando fui sicuro di aver imparto la semplicità». È questo un tema capitale che, prima, con l’apertura del ristorante in via Bonvesin de la Riva, fino ad oggi con il menu futuribile, intitolato – cucina contraddistingue la sua ricerca che dalle vette della tecnica, solo apparentemente minimalista, porta all’evidenza sostanziale della materia. «La forma è materia» – ripete, infatti, spessissimo. Apre il suo primo ristorante milanese nel 1977, conquistando la prima stella Michelin,seguita, l’anno successivo, da una seconda.
A due anni dall’apertura, i gastronomi Gault e Millau, nel corso di un'intervista al Time, lo annoverano tra i quindici ristoranti al mondo che preferiscono. La terza stella arriva nel 1985, primo in Italia ad ottenerla. Nel 2008, sarà anche il primo, ma questa volta al mondo, a riconsegnarle tutte, convinto che, ormai, si tratti di un gioco al rialzo, dove si sale e si scende per tenere alto il buon umore e le fortune dei critici. «L’ho fatto anche per dare un esempio e dire ai giovani che la passione per la cucina non può essere subordinata ai voti. Molti di loro, invece, si sacrificano solo in funzione del giudizio, lavorano astrattamente per avere la stella. Non è sano né giusto».
Il rispetto del sapere e la sua condivisione con chi si avvicina al mestiere del cuoco fanno da cardine ad un carattere impulsivo e aperto, strutturato in funzione dell’emozione. Il carattere di un artista che cerca nel colpo d’occhio il gesto risolutivo, tale da allineare idee e convinzioni, l’appetito del bello e l’appetito del buono. Vent’anni dopo Bonvesin de la Riva, Gualtiero Marchesi apre il suo ristorante in Franciacorta, all’Albereta di Erbusco. Un viaggio dalla città alla campagna che non sarà di sola andata, e che dopo varie tappe a Parigi, Roma e Cannes lo scopre a ripensare a Milano nel 2008, con il Ristorante Teatro Alla Scala 'IL MARCHESINO'.
Il Marchesino, ritorno a Milano nel tempio italiano della Musica lirica per proporre la sua cucina totale con un servizio ininterrotto dalle 8 del mattino al dopo Scala. Innumerevoli sono i riconoscimenti e i premi, meritati nell’arco di una carriera lunga più di sessant’anni, ma quello che più si avvicina al compito del maestro è il ruolo di rettore di Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, fortemente voluta da Marchesi, inaugurata nel 2003 all’interno della Reggia di Colorno.
Arrivato al traguardo degli ottant'anni Marchesi si è reso conto che il suo compito era creare una Fondazione che potesse custodire e valorizzare il suo 'sapere' e che sarà attiva nella diffusione "del bello e del buono" approfondendo le ispirazioni artistiche fondamentali per la cucina creativa.
La cucina economica ha selezionato una ricetta dello chef Gualtiero Marchesi,
risotto alle barbabietole, salsa al Franciacorta e grana
Ingredieti per 4 persone
Per la salsa al Franciacorta
80 g di grana grattugiato
70 g di burro
50 g di scalogno tritato
2 dl di Franciacorta brut
Per il risotto
240 g di riso
3 dl di succo di barbabietola (equivalente a 4 barbabietole centrifugate)
2 cucchiai di grana grattugiato
2 cl di Franciacorta brut
brodo leggero di vitello o di pollo
40 g di burro
PROCEDIMENTO
Per la salsa al Franciacorta
Riunire in una padella lo scalogno e il Franciacorta, lasciare restringere della metà, spegnere la fiamma, incorporare il burro e il Parmigiano, amalgamare riducendo in purea con un frullatore a immersione e passare al colino fine.
Per il risotto
Raccogliere il succo di barbabietola in una piccola casseruola e farlo ridurre a 1,5 dl. Sciogliere in una casseruola a parte 20 g di burro, unire il riso, farlo tostare per un minuto, bagnare con il Franciacorta, lasciare evaporare e portare a cottura aggiungendo gradualmente il brodo bollente. Spegnere la fiamma, mantecare con il resto del burro e il grana. Aggiungere il succo di barbabietola ridotto e mescolare per 5 minuti.
Finitura
Stendere il riso sul fondo dei piatti, appoggiare sopra un cucchiaio colmo di salsa al Franciacorta e servire.
credit/chicchiricchi.net/gualtieromarchesi.it
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